ESTATE IN LAPPONIA, TRA RENNE DAGLI OCCHI CANGIANTI E IGLOO DI VETRO


di URANO CUPISTI
Finlandia dei Sami, ultima chiamata. Ostaggio di una guida che mi nega Rovaniemi ma mi fa vedere tutto il resto, fino alla Karelia.

Olav, la mia guida Sami, mi raggiunse all’Artic City Hotel. Gli elencai i luoghi che avrei voluto visitare e lui, in un inglese molto lappone, scosse la testa. “Non va bene. Devi fidarti di me”, disse.
Passai tutta la quasi-notte (visto che il buio non c’era) a preparare le domande per Olav e schiarirmi le idee sui tanti punti che spesso restano sospesi a causa dell’interpretazione ambiuga dei termini.
Il primo quesito lo feci già nella caffetteria dell’hotel, alle 8 del mattino, mentre il sorseggiavo un caffè finnico e lui si faceva la terza birra mattutina. Nel frattempo aveva deciso di ribattezzarmi Uro.
Parlami delle differenze tra Lapponia e Sami, attacco io.
E lui, pacioso: “La Lapponia, che noi sami chiamiamo Sápmi, è la regione più a nord della Finlandia, confinante con Svezia, Norvegia e Russia. Ha Rovaniemi come capoluogo. Il popolo Sami non si identifica solo con la Lapponia finlandese ma con la vasta area a nord del Circolo polare artico che comprende territori svedes, finlandesi e russi, più specificatamente la penisola di Kola. I Sami erano un popolo nomade e pacifico, allevatori di renne e  cacciatori. Veneratori della natura: Madre-Terra e Tuono sono le principali divinità. La prima dà la vita, il secondo la forza”.
Caricato il mio zaino sul suo fuoristrada, mi lasciai trasportare per la città, che però non pareva sembrargli interessante. “Oggi è meglio scoprire i piccoli villaggi, gli allevamenti, gli igloo di vetro, i cottage sperduti nelle foreste di betulle, sentenziò.  
Io intanto cercavo di sbirciare e lo martellavo di interrogativi: ma la cattedrale di Rovaniemi, i palazzi costruiti da Alvaar Alto, l’Arkikum, gli assaggi di muikku col kalakukko?
Risposta secca: “Per tutto questo non hai bisogno di una guida sami”.  Come contraddirlo?
D’estate, a quelle latitudini, il sole non scende mai. Luce ventiquattrore ore al giorno per settanta giorni. La cosa ha i suoi vantaggi: ad esempio di viaggiare in tranquillità senza l’ansia di arrivare prima dell’oscurità. E da viaggiare avevo tanto.
Enontekiö fu stata la nostra prima tappa. Circa duemila abitanti, sami ma non certo nomadi, anzi ben inseriti nei cicli produttivi del terziario. La vicina Yllas era una delle zone sciistiche maggiormente frequentate. Fu per noi una tappa di di scorte alimentari prima di procedere verso est, alla volta della foreste di betulle bianche e di Inari.
Una sorta di avventura coast to coast: strade assolate che si perdono nell’infinito, piccole fattorie che compaiono all’improvviso e spariscono altrettanto velocemente e soprattutto tante renne, veramente tante che le ritrovi dappertutto, spesso ai bordi della strada, libere e selvagge.
Lo sai – mi fa Olav – che il colore degli occhi delle renne muta a seconda delle stagioni? Verdi dorato d’estate, blu d’inverno?”. Pensai alle mie lenti a contatto polarizzate e mi sentii un po’ una renna anch’io. Ma lui mi incalzava: “Sai cos’è la poronkusema?”. Alzai le mani in segno di resa. “Nel sistema metrico sami esiste un’unità di misura che corrisponde all’incirca a 7,5 chilometri e indica la distanza che una renna può percorrere senza urinare”. Capii che mi stavo avvicinando al mondo che avevo sognato.
Ci fermammo alle porte di Saariselka, nella parte orientale della regione. Di strada ne avevamo fatta tanta. Ci vennero incontro due bambini vestiti con gli abiti tradizionali, i gakti. Erano i figli di Olav. Grande festa. Visita all’allevamento di renne che gestiva sua moglie, anch’essa con gli abiti tradizionali, pranzo a base di stufato di renna con marmellata di mirtilli e canti joik ispirati allo spirito di quel momento.
Saluti, abbracci e mentre stavamo ripartendo mi accorsi di aver dimenticato sul tavolo il mio moleskine. Ritornai a prenderlo e gli abiti tradizionali erano spariti. La moglie e i figli indossavano i jeans e le nike. Feci finta di niente, non volevo dimenticare le emozioni provate.
Saariselka è un piccolo villaggio di circa 350 abitanti situato a 260 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, in prossimità del Parco Nazionale Urho Kekkonen. È ricordata per i suoi  igloo di vetro, un’esperienza da provare almeno una volta nella vita.
Non fu la cosa più lappone che mi aspettassi, ma trascorrere la notte osservando i colori del cielo nel momento in cui il sole tocca il punto di parabola più basso non ha prezzo. Molto turistico? Certo (ed anche molto caro). Ma fui felice di aver provato, tanto da promettere a me stesso di riprovare in inverno, magari con l’aurora boreale.
Un’ora di auto e arrivammo a Nellim, un piccolo e grazioso villaggio vicino al confine con la Russia. E’ conosciuto come il punto di incontro tra le differenti culture dei i Sami di Inari e dei Sami Skolt. Quest’ultimi hanno introdotto la religione ortodossa accanto a quella luterana e la bella chiesa ortodossa in legno, dedicata alla Santissima Trinità ne è una prova tangibile.
A qualche chilometro da Nellim trovammo le le torri di avvistamento e il confine. Oltre non potemmo andare, avevamo raggiunto la Karelia e il territorio russo. Solo i Sami potevano liberamente accedere oltre quella linea.
Inari è la destinazione perfetta per chi desidera immergersi nella purezza della natura artica (è la meta più gettonata per ammirare l’aurora boreale) e per una full Sami immersion: l’allevamento di renne e di husky, con tanto di centri di addestramento per abituarli a trainare le slitte.
È anche uno dei pochi luoghi in cui si parlano ancora cinque lingue: tre sono varianti di sami, una è il finlandese e la quinta il russo. Posto decisamente fuori dal mondo, in cui riscoprire il legame con la natura e con le tradizioni locali: è stato l’apice del mio viaggio. Ci rimanemmo tre giorni.
E non tornammo più a Rovaniemi.

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