Il mio Perù Classico targato 1981
Perù classico.
Decisi di effettuare il viaggio
in Perù dopo essere stato ad una mostra fotografica di un amico fotoreporter allestita
nel Palazzo Guinigi a Lucca. Correva l’anno 1981, mese di Marzo e stavo
preparando un viaggio in Thailandia programmato da tempo.
L’immagine di una fanciulla
peruviana, con le trecce nere e la
classica bombetta a coprire una parte dei capelli, i lineamenti quechua, con i
vestiti molto colorati, rimase nella mia mente tanto da farmi cambiare idea, di
soprassedere al viaggio in Thailandia e iniziare “a pensare” al Perù. Al Perù definito Classico. Quello del “popolo quechua e non Inca” perché così amano
definirsi.
Mi spiegarono, appena atterrato a
Lima, che Il termine “inca” indicava il capo del popolo quechua e più che un
capo un leader.
Lima. L’impatto fu insolito ma
decisamente deludente. Traffico caotico, niente di diverso ad altre capitali sudamericane
come Bogotà, Quito. Il cielo quasi
sempre coperto da un velo grigio che donava, al paesaggio urbano, un’aria malinconica, deprimente.
Scelsi come base logistica per i mie spostamenti e soprattutto per
l’ambientazione, fuggendo dalla cappa inquinante, il piccolo quartiere di Barranco e la scelta
fu vincente.
Barranco significa “burrone”.
Infatti la parte che guarda l’Oceano è a strapiombo sulle scogliere. Scelsi un
B&B grazioso, spagnolo, con un patio carino pieno di fiori e ben collegato
con il centro storico dai Combi.
Già, i mezzi di trasporto urbani
a Lima. Conoscere i Combi, quelli piccoli e quelli più grandi, imparare ad
usufruirne con disinvoltura, fu veloce. O fai come i limeños, così chiamati gli
abitanti di Lima, o rimani a piedi per lunghe ore.
Scelsi Barranco anche per le sue
casette coloniali e l’aria bohémien che si respirava camminando nelle stradine
fino ad arrivare alla sua Plaza de
Armas. Già nel 1981 si respirava aria di cambiamento con la costruzione in atto
di un centro culturale ad opera di molti artisti anche stranieri. Si respirava a Barranco un’atmosfera
europea. Al ritorno delle mie escursioni nel centro cittadino mi
immergevo in questo mondo inconsueto, irreale, difforme dallo stereotipo del
Perù quechua.
Il dubbio: meglio fare da solo o
affidarmi ad agenzie locali magari per gli spostamenti con autobus, treni o
macchine private?
Ritenni necessario, anche per non
stare a contrattare sui prezzi, incaricare una agenzia di Barranco
consigliatami dal gestore del B&B. Evitai lungaggini, telefonate, perdite
di tempo. Devo dire che non ebbi nessuna difficoltà trovando nei successivi
spostamenti tutto quanto stabilito.
Constatai che Lima è la più
grande città al Mondo costruita sul deserto dove, si racconta, non piove mai. Infatti una pioggia
battente mi accolse nel primo giorno dedicato alla scoperta del centro storico.
Le mie scoperte a Lima: ammirare il Palacio de Gobierno che si
affaccia su Plaza Mayor (conosciuta anche come Plaza de Armas), scoprire la
Cattedrale con i segni vistosi dei vari terremoti, visitare la Chiesa di San
Francesco assieme al suo convento, un complesso monumentale che rappresenta uno
degli angoli più accoglienti e suggestivi, mangiare il ceviche, squisita ricetta a base di pesce e frutti di mare crudi
marinati nel limone. La più incredibile e allo stesso tempo suggestiva delle
mie scoperte?
Nei giardini di fronte ad un tribunale, seduti sulle panchine, alcuni dattilografi con vecchie macchine da scrivere anche della Olivetti, tenute sulle ginocchia, a preparare sotto dettatura le linee di difesa nelle cause. Folclore e tradizione nella chiassosa Lima.
Dopo quattro giorni ritenni che
era ora di ricercare la memoria del popolo quechua.
Cuzco mi accolse dopo 36 ore di
autobus della Compagnia Morales Moralitos
detta dai peruviani Mortales Mortalitos
per i numerosi incidenti sui passi andini. Una esperienza unica percorrendo,
con i mezzi che definii “simpatici”, un dislivello di oltre 3.000 metri. La
scelta di effettuare il trasferimento con il bus fu per assuefarmi lentamente
all’altitudine.
Viaggio incredibile dove il
Distretto di Punta Hermosa sull’Oceano fu la prima tappa. A seguire San
Vincente de Cañete, l’inizio della
lenta salita a strapiombo nelle desolate valli pre-andine fino a raggiungere i
piccoli paesi di Huanavelica, Ayacucho , Abancay ed infine Cuzco. Partenza alle
ore 8 del mattino da Lima ed arrivo il giorno dopo verso le 20.
Una locanda a trecento metri da
Plaza de Armas e dalla Cattedrale mi ospitò per sei giorni, tanti quanti furono
necessari per visitare il mondo quechua, comunemente chiamato il mondo degli
antichi Inca.
Visita al parco archeologico di
Sacsayhuaman con la sua cittadella fortificata, con il mistero degli enormi
massi sistemati alla perfezione senza la conoscenza, da parte del popolo Inca, della
ruota.
La Sacra Valle con il pittoresco mercatino di
Pisac che si presentò con il suo insieme di banchetti colorati e chiassosi,
sistemati senza una logica urbana, invaso da turbe di turisti pronti ad
accaparrarsi prodotti “artigianali” made in Japan e Taiwan (allora
la Cina era sempre una nazione molto chiusa con l’estero).
Inevitabile la visita alla Cattedrale
di Cusco: un intreccio di elementi in stile barocco e rinascimentale, una
testimonianza eloquente del trionfo della religione cristiana sul precedente
periodo inca, nella centralissima Piazza de Armas.
Ma certamente Cuzco è sinonimo di
Machu Picchu. E non si può andare in
Perù senza visitare questo particolare sito archeologico.
Decisi di prendere il trenino a cremagliera che sale
vertiginosamente a zig zag per scollettare la montagna di Cusco e scendere
vertiginosamente nella valle del fiume Urubamba
fino a Agues Callientes. Un percorso
di quattro ore.
Mi avevano avvisato di stare attento soprattutto nella parte a zig zag
quando il treno cambia passo e deve fermarsi obbligatoriamente per farlo. È
il momento che bande di ragazzini salgono a bordo e derubano i turisti. Con una
vera e propria tecnica portano a compimento le loro “razzie” di gioielli,
orologi, piccole borse, macchine fotografiche e cineprese. Un rituale tollerato
dalle forze di polizia.
Non mi accadde niente di tutto questo anche perché ero legato come un
salame alla poltrona, senza catenine al collo, orologio al polso, la macchina
fotografica custodita dentro lo zainetto legato con me.
Fu una mia precisa scelta di salire sul trenino nella parte a
cremagliera. L’agenzia mi aveva proposto e caldamente consigliato di
raggiungere in autobus il paesino di Puroy e lì salire sul trenino in
sicurezza.
Era come togliere una parte
dell’avventura peruviana e perdere il fascino della parte a cremagliera
Arrivai volutamente a Agues
Callientes al tramonto. Per dormire scelsi una locanda vicino al terminal
dei minibus che trasportano di buon’ora, i visitatori fino all’ingresso del
Parco archeologico di Machu Picchu.
Alle 5 sveglia, colazione e partenza per ammirare la città Inca
illuminata dai primi raggi del sole.
Machu Picchu per tanti anni rimasta
nascosta finalmente davanti a me e ammirare l’altro spettacolo della natura dato
dall’imponenza del Monte che lo caratterizza; l’Huayna Picchu raggiunto in
circa un’ora seguendo un sentiero relativamente facile.
Vero è, dai racconti dei numerosi
turisti e viaggiatori che arrivano da queste parti, che a colpire sono il sito archeologico nel suo insieme, i
terrazzamenti, la pietra intihuatana, i sistemi di drenaggio e l’ingegneria
idraulica, l’orientamento delle costruzioni con la loro logica e quel sistema
di comunicare dato dall’eco riprodotto da alcune rientranze costruite appositamente,
vere e proprie cabine telefoniche.
Ma i due scenari che porti via e ricorderai per sempre sono la vista dell’Huayana Picchu e quella opposta che osservi dalla sua sommità.
Due cartoline
superbe ed indimenticabili del Perù Classico, quello quechua.
Urano Cupisti
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