Perù misterioso
PERÙ MISTERIOSO
Il Perù, quell’immensa scoperta, giorno dopo giorno, passo dopo passo
percorso, rivelazione continua tra sbalzi climatici più assurdi, paesaggi più
vari, dalle Ande di Cuzco al Lago Titicaca, dalla bianca Arequipa alla foresta
amazzonica fino alla “tumultuosa” città di Lima.
Una ulteriore mezza giornata per organizzare quello che sarebbe stato
il mio Perù misterioso e via, zaino
in spalla, verso la fermata degli autobus.
Ci vollero 4h e 30’ per percorrere i circa 250 Km che separano la
Capitale dalla cittadina Pisco, nel distretto di Inca, scelta come base per la
visita della riserva naturale di Paracas. Percorremmo la “mitica” Panamericana.
Allora era già a pagamento con, ogni tanto, le classiche barriere in
muratura. Dal finestrino notai che, qualche chilometro prima della barriera,
parecchie vetture uscivano dalla carreggiata percorrendo tracciati sterrati alternativi
per poi rientrare qualche chilometro dopo. Un sistema per non pagare il
pedaggio. E la polizia? Un simpatico compagno di viaggio mi spiegò che “il
sacrificio di un automobilista”, fermato dalla polizia, permetteva ad altre
decine di non pagare. Che dire?
La posada “Ermelinda”, appena fuori città, fu la mia scelta per
passarvi due notti.
E la sera… CEVICHE. Si tratta
di pesce misto e crostacei marinato nel lime con aggiunta di cipolle e peperoncino, servito con delle salsine
piccanti per dargli sapore. Insomma uno di quei piatti che per digerirli
servono ore ed ore. Gli abitanti di Pisco ti dicono “no es un problema”, basta
bere un po’ di “pisco”, vera e propria bevanda nazionale, un distillato d’uva
da bere in ogni occasione, soprattutto come digestivo. Notai nell’etichetta
“hecho in chile”. Come, bevanda nazionale peruviana prodotta in Cile? Capii che
era meglio soprassedere e non indagare. Una cosa risultò certa: ricordare il ceviche
e l’abbondante pisco per cercare di digerirlo. Ecco perché.
Al mattino non riuscii a fare colazione. Il ceviche ancora nuotava nel
pisco nel mio stomaco. La signora della posada mi accompagnò all’imbarcadero
nella Marina Turistica di Paracas in tempo per la partenza delle ore 8. Il mare
era agitato e questo fu facilmente percepibile dal movimento delle imbarcazioni
ormeggiate.
Mi ritrovai insieme ad una “turba” di giapponesi più agitati
dell’oceano mentre l’imbarcazione barcollava tra le onde ed io, figlio di “lupo
di mare” abituato a marosi ben più agitati di quello, a ripensare al ceviche e
al pisco che non era riuscito nell’intento di favorire la digestione. Trenta
minuti di viaggio per arrivare in un determinato punto in mezzo al mare, ancora
distanti dalle Isole Ballestas, per ammirare e fotografare il famoso Candelabro
di Paracas. Tutto bene fino a quando spensero i motori e l’imbarcazione, come
un guscio di noce, volteggiava sulle creste delle onde. Fu in quei
interminabili minuti di sosta, mentre i giapponesi si affannavano a scattare
foto a tutto spiano, che rividi tutto il ceviche. Fu una liberazione che mi
permise poi di ammirare Isole e candelabro nella loro magnificenza.
Pinguini, leoni marini, cormorani e altre decine di migliaia di
uccelli vivono alle isole Ballestas dove le fredde acque dell’oceano tengono
lontano i predatori.
Ma è l’acre odore del guano a
renderle diverse, uniche. Un pontile come attracco e una “mancina arrugginita”,
mangiata dalla salsedine, a indicare l’approdo delle navi che trasportano
“l’altro oro del Perù”. Basti pensare che gli escrementi dei circa 300.000
cormorani che abitano stabilmente le isole valgono circa 400 dollari alla
tonnellata. L’esportazione di questo fertilizzante naturale si attesta tutt’oggi
in circa 1.300.000 tonnellate annue rappresentando così una delle entrate
maggiori dell’intero Paese.
Non essendo abituato a quell’odore nauseabondo e non ancora ben libero
di tutto il ceviche devo dire che il doppiare l’ultima punta sud dell’isola
maggiore fu una vera liberazione. Una ventata fresca mi fece rinascere e godere
appieno il candelabro, l’inizio del mio Perù misterioso.
La figura è lunga in altezza più di 180 metri incisa sul fianco della
collina e ben visibile dal mare da una distanza che supera le 10 miglia.
Risalirebbe al 200 a.C. anche se, recenti studi parlano di molti anni
prima. Tutt’oggi questa gigantesca incisione è avvolta nel mistero. All’epoca
del mio viaggio (1981) la “voce” più insistente era di un simbolo divino, anche
se, i pescatori di Pisco Bay, fossero convintissimi che rappresentasse un
orientamento per i marinai. Una specie del perché le case dei nostri borghi
marini sono colorate con tinte vistose.
I conquistadores spagnoli, influenzati dall’iconografia cristiana, pensarono che fosse una rappresentazione della Santissima Trinità, un segnale divino per l’opera “di evangelizzazione del Nuovo Mondo”.
E
se fosse un’indicazione per gli alieni ad indicare che dopo la collina si trova
la pista di atterraggio per le astronavi, ricollegando il tutto alla teoria
degli extraterresti valorizzata da
alcuni segni di Nazca non tanto distanti da Paracas?
Una
cosa è certa: l’enorme geoglifo continua tutt’oggi ad attirare persone da tutto
il mondo per ammirarne la sua maestosità e il suo fascino misterioso.
Ritornato a Pisco, prima di raggiungere la posada, entrai in una delle
bettole dove fare due chiacchiere bevendo pisco. E alla domanda di cosa
pensassero del significato del candelabro suggerivano di interpretarlo come uno
dei fulmini nella mano del dio Viracocha, la grande divinità creatrice
della mitologia pre-Inca e Inca della regione delle Ande del Sud America.
Dopo aver creato il Sole, la
Luna, le Stelle e l’Uomo, Viracocha, scomparve oltre l’Oceano Pacifico,
promettendo di ritornare nei momenti di difficoltà. La creazione del Candelabro
sarebbe il segno per guidarlo nella giusta direzione, verso il popolo di Paracas.
Al terzo bicchierino di pisco ne fui convinto.
Sapevo che aveva eletto provvisoriamente il proprio domicilio presso
questo piccolo Hotel per continuare i suoi studi sulle misteriose linee di
Nazca. Sto parlando di Maria Reiche,
matematica, archeologa, massimo esponente di quella linea di pensiero, oggetto
di studi e ricerche, che portano verso la teoria che tutti i segni, compreso il
candelabro di Paracas, altro non sono che parte integrante di un grande
calendario solare e un osservatorio per i cicli astronomici.
Tedesca di nascita e formazione, peruviana di adozione. Nel 1981 aveva 78 anni. Si aiutava con una sedia a rotelle e sapevo della sua cordialità nell’intrattenersi con gli ospiti dell’Hotel e non solo. Tutte le sere, al tramonto, l’Hotel de Turistas si trasformava in una vera e propria aula universitaria, tutti ad ascoltare, fare domande, alla poliglotta Señora Maria. Ben cinque lingue, tra cui l’italiano, parlate con l’inconfondibile cadenza, peccato originale, dovuto al luogo di nascita e adolescenza: Dresda.
E poi, al mattino, via all’aeroporto per imbarcarsi sui piccoli
veicoli leggeri a scoprire quanto raccontato la sera precedente.
- La figura del ragno, ovvero quello che in natura sarebbe riconducibile al ragno “Ricinulei”. Secondo la Prof.ssa Reiche altro non sarebbero che linee riconducibili alla costellazione di Orione.
La figura della scimmia, riconducibile all’Orsa Maggiore.
La figura dell’astronauta uno sciamano o un sacerdote.
La figura del colibrì la più “gettonata”: lunga 94 metri e larga 66, rappresenta un colibrì, uccello ritenuto messaggero divino dalle antiche popolazioni della zona.
Decisi di partecipare alla serata dedicata alla proiezione del film: Gli extraterrestri torneranno (Erinnerungen an die Zukunft), in lingua tedesca sottotitolato in spagnolo. Un film del 1970 diretto da Harald Reinl basato sul libro omonimo dello svizzero Erich von Däniken, scrittore e archeologo senza titolo accademico.
Il libro che, dopo la pubblicazione, divenne un autentico best seller
internazionale tradotto in numerose lingue. Non solo.
Lo scrittore svizzero ha sempre sostenuto che le divinità ed angeli di cui parlano Bibbia, Corano e numerosi testi
sacri antichi erano alieni che un
tempo visitarono la Terra. I miracoli e le apparizioni troverebbero spiegazione
solo in chiave ufologica. Da qui l’adorazione del popolo Nazca e la chiave interpretativa
dei disegni. Le raffigurazioni sudamericane veri e propri segnali di richiamo
per velivoli extraterrestri, predisposti per favorire atterraggi.
In conclusione il mistero delle linee di Nazca e Paracas appare ancora di difficile decifrazione e soluzione.
Forse potrebbe essere Il frutto di una qualche civiltà molto evoluta, di cui purtroppo si sono perse completamente le tracce?
L’interrogativo che mi sono
portato dietro da quel viaggio in Perù datato 1981.
Commenti
Posta un commento