Algeria con mio padre. Correva l'anno 1955
Algeria con mio padre.
Correva l’anno 1955 e stavo per
effettuare il secondo viaggio con mio padre. Avevo nove anni.
Viaggio avventuroso? Certamente
sì. Problematico? Anche. Pericoloso? Sotto certi aspetti ugualmente. E allora
perché la decisione di un padre di “portare con se il figlio ancora
adolescente” in un paese, in quell’anni tumultuosi e di fatto premonitori di “guerra
di liberazione”?
Risposte molteplici. Perché
sapeva della mia naturale predisposizione a conoscere il mondo e di conseguenza
accontentarmi, perché il viaggio via mare e la permanenza nei due porti Algeri
e Orano sarebbe stata molto limitata nel tempo, perché la scesa a terra in
sicurezza sarebbe avvenuta solo dietro la responsabilità dello spedizioniere
locale (una specie di agente nel porto e rappresentante in loco della Compagnia
di Navigazione).
Il mio viaggio ebbe inizio dalla stazione ferroviaria di Viareggio
accompagnato da un nostromo di lunga navigazione, soprannominato l’Acetaro che, terminato il periodo di
avvicendamento (una specie di periodo di ferie in chiave marinara), doveva
raggiungere Marsiglia e imbarcarsi di nuovo su di un Liberty americano
noleggiato dalla Compagnia genovese Ignazio Messina & C. per la rotta,
passeggeri/merci, con l’Algeria.
Ad attenderci alla stazione mio
padre, alcuni ufficiali e marinai.
Liberty simile a quello del viaggio
La nave della classe “gloriosa” Liberty, ci attendeva
ormeggiata al Pont de la Pinède nel
Bassin National, mentre ultimava le operazione di carico merci per poi
procedere all’imbarco dei passeggeri, quasi tutti algerini in rientro nel loro
paese.
Dimentichiamoci la visione di una nave da crociera. Le cabine, una
decina posizionate al centro nave, con cuccette spartane a castello (anche sei
in una sola cabina) molto strette con un bagno unico allo stesso level (piano).
Salone unico come mensa con “menù” fisso.
Comunque per il 1955, dieci anni
dopo la fine della seconda guerra mondiale, navigare così “era quasi un lusso”.
La cabina di mio padre, direttore
di macchina (oggi si direbbe chef engineer) era sicuramente a “5 stelle”. 2 cuccette
separate, bagnetto incluso.
La nave, un liberty americano
ancora mosso da turbine a vapore alimentate
con nafta, quattro stive per carico “merci varie”, ponte al centro (miglior
posizione per chi soffriva il mal di mare).
In navigazione si rivelò un siluro in mare. Agile e veloce così
come inteso dai costruttori americani per il servizio di sussistenza nella
seconda guerra mondiale per la quale fu
ideato e costruito.
La navigazione verso Algeri fu
“piatta”, mare calmo, dondolio ridotto al minimo. Passeggeri in odor di vomito
veramente pochi. La nausea era data più dall’odore acre della nafta bruciata
che dalle poche onde di traverso.
La città ci accolse di prima sera
durante il rito della preghiera Ṣalāt,
quella obbligatoria, recitata dai muezzin dall’alto dei minareti. Sulla
banchina d’ormeggio tutti ad attendere il termine della preghiera per iniziare
le operazioni di sbarco.
Il Muezzin, anticamente chiamato
talacimanno, la Voce di Allah in terra, lo ascoltai nelle sue cantilene, con
l’eco da altri minareti, ma verosimilmente tutti con lo stesso timbro di voce.
Per un ragazzino di nove anni fu come essere seduto in un cinerama a 360° e
coinvolto in quel momento mistico.
Il giorno dopo Abdul-Kareem, il figlio ventenne dello
“spedizioniere”, mi prelevò dal Liberty insieme a mio padre e ci portò
nell’Algeri più segreta, là dove potevi entrare solo “accompagnato da uno di
loro”.
<<Bella ed elegante, i suoi
palazzi ricordano Parigi ma a lambirla è il deserto>>. Così Abdul-Kareem
mentre attraversavamo i quartieri francesi, quelli coloniali, architettonicamente
(e non solo) ricchi.
Quelli presi di mira dalle frange
indipendentistiche che da alcuni anni imperversavano in tuto il paese e da lì a
poco, sette anni dopo, nel 1962 avrebbero preso il sopravvento portando
l’Algeria all’indipendenza
Cartolina di Algeri al tempo del viaggio
Ampi viali alberati, i palazzi
con le balconate in ferro battuto. Ma il cuore misterioso di questa bella
capitale era la Casbah, la parte più antica, che ci riporta con la Storia ai
Fenici, ai Romani, ai Bizantini, agli Arabi, fino ai Francesi e ai moti
insurrezionali, alle battaglie nelle sue viuzze fino alla dichiarazione
dell’indipendenza.
Angolo della Casbah algerina nel 1955
Visitammo la Casbah a piedi, in
fila indiana ben protetti da Abdul-Kareem che con cenni delle mani e del capo dialogava con tutti coloro un po’
perplessi della nostra presenza. Una vera e propria cittadella-fortezza, cinta
da mura, con stradine su cui insistevano abitazioni tipiche arabe, con
all'esterno piccole torri dalle mura lisce, coronate da merli, raggiungibili da
scale esterne, facili rifugi impossibili da raggiungere dalla Polizia
coloniale. Nel suo dedalo intricato di ripidi vicoli, archi, piazzole, scorci
nascosti, botteghe artigiane, fontanelle, si respirava tutto il fascino di
un’atmosfera senza tempo. Nel 1955 dalla Casbah si usciva solo se “protetti” da
uno di loro. E noi avevamo Abdul-Kareem.
Dopo la Casbah, la tappa
successiva fu il Museo nazionale delle Belle Arti, il più grande museo dell’Africa e
del Medio Oriente, che custodiva opere (minori) di Gauguin, Renoir, Monet e
Degas. Impressionante la vista impagabile sul Jardin Botanique du Hamma.
E per par condicio religioso la Moschea
Ketchoua, “vassoio delle capre”, con i suoi due minareti e a seguire la Basilica
di Notre Dame de l'Afrique.
Algeri, l'azzurro del cielo, il
blu del mare, il bianco delle case e il giallo del deserto che in parte
attraversammo il giorno seguente.
Era l’alba. Mentre il Liberty era
impegnato a farsi “stivare” merci di diversa natura, insieme al primo ufficiale
di coperta che sostituì mio padre e l’ormai guida ufficiale Abdul-Kareem, a
bordo di una Citroen Traction Avant
nera alla volta di Tipaza.
Citroen Traction Avant simile a quella usata tra Algeri e Orano
Viaggiare a bordo di quell’auto
fu come immergersi in set cinematografici di avventura, guerra e resistenze: l’auto preferita dai gangster, dalla
resistenza francese, scelta anche dai tedeschi e dal comitato di liberazione
algerino.
<< In primavera, Tipaza
abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell'odore degli assenzi, nel
mare corazzato d'argento, nel cielo d'un blu crudo, fra le rovine coperte di
fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre. In certe ore la
campagna è nera di sole.>>(Albert Camus).
Fu il frutto di una ricerca fatta
alla Biblioteca Comunale della mia città, insieme al Maestro Pierotti (il mio
maestro all’elementari), quando
annunciai il viaggio in Algeria.
Le antiche rovine di Tipaza
<<Devi andare a Tipaza. Non puoi tornare senza raccontare le
rovine coperte dai fiori>> E così fu
Tipaza fu fondata dai Fenici, colonizzata dai Romani. Non
importante come Cartagine ma caposaldo sul Mare Mediterraneo, con tanto di
porto commerciale, verso occidente. Restano
le rovine di 3 chiese costruite in diversi momenti storici dopo l’avvento
del cristianesimo (la Basilica di
Alessandro, la Grande Basilica e la Basilica di Santa Salsa), due cimiteri, le
terme, un teatro, un anfiteatro ed un ninfeo. Al ritorno il Maestro fu entusiasta
dei miei racconti su Tipaza.
Non ritornammo ad Algeri ma
proseguimmo verso occidente, lungo la costa mediterranea fino al paesino di Ténès per poi raggiungere Chlef posizionata nell’interno, sulla RN4 (oggi autostrada)
attraversando le ultime lingue di sabbia del grande Sahara. Ci vollero circa 6 ore per raggiungere Orano.
Cartolina di Orano del 1955
Seconda città dell’Algeria, posta
nel nord-ovest del paese era allora un luogo nevralgico con un centro culturale
di rilievo dell'intero Maghreb. Spagnoleggiante con ricordi andalusi, fu poi
governata da una successione di dinastie arabo-berbere che non vollero
cancellare le origini. Si respirava già nel 1955 aria d’indipendenza, sia nei
caffè e bistrot alla francese che nei ritrovi tradizionali arabi all’interno
della Medina.
Soprannominata “la radiosa”
riuscì a trasmettermi, piccolo amante delle esperienze autentiche, il lato più
genuino della cultura magrebina.
Rosalcazar, fortezza del quartiere spagnolo, situata sul punto più
alto della città, che offrì un’interessante panoramica sulle influenze
architettoniche che si sono susseguite nel corso della storia e poi a seguire
la chiesa di San Luigi dalla storia
sorprendente. Fu, infatti, prima moschea, poi sinagoga, quindi chiesa e infine
cattedrale.
La Medina Jedida , un grande quartiere storico e popolare con il suo
famoso mercato conosciuto come Le Marché
de Medina Jedida (mercato di Medina Jedida).
El Hamri, quartiere chiamato dai francesi Lamur, la movida serale e notturna di allora.
Pernottai due notti ad Orano
nell’attendere il Liberty delle linee Messina che puntualmente attraccò al
porto.
Le sere che seguirono in
navigazione fino a raggiungere Marsiglia fu un continuo raccontare dell’esperienza
appena conclusa e fantasticare con mio padre su quello che sarebbe potuto
essere il prossimo viaggio insieme.
Lui già sapeva.
Urano Cupisti, il viaggiatore che cerca.
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